Colangiocarcinoma

Con il termine Colangiocarcinoma (CCC) si intende un gruppo eterogeneo di tumori che insorge a partire dai dotti biliari. Può originare dalle cellule epiteliali dei dotti biliari, sia intraepatici che extraepatici, ad eccezione della colecisti e dell’ampolla di Vater. Nella sua forma intraepatica, è il secondo tumore primitivo del fegato più frequente, dopo il Carcinoma Epatocellulare (HCC), costituendo il 5–10% di tutte le neoplasie primitive epatiche, contro il 90% dell’HCC. È infrequente prima dei 50 anni d’età (<10% dei casi) e ha il suo picco d’incidenza tra i 60 e i 70 anni, con un rapporto uomini/donne di 2/3.

I CCC sono classificati in base alla loro posizione anatomica in:

  • Colangiocarcinomi Intraepatici (CCCi, che rappresentano meno del 10% di tutti i CCC), 
  • Colangiocarcinomi Peri-Ilari (CCCp o Tumore di Klatskin, il 50% dei CCC) 
  • Colangiocarcinomi Distali (CCCd, il 40% dei CCC).

Ognuno presenta caratteristiche peculiari che implicano un diverso trattamento ed un management specifico.

Fattori di rischio
I fattori predisponenti conosciuti sono:

  • alterazioni cistiche dei dotti biliari, cisti coledociche
  • malattia di Caroli, caratterizzata da dilatazioni congenite ed irregolari dei dotti biliari)
  • epatolitiasi
  • infestazioni parassitarie: tipicamente nei Paesi orientali, attraverso il consumo di pesce crudo o poco cotto
  • cirrosi epatica: una condizione caratterizzata da degenerazione e rigenerazione nodulare del fegato, dovuta spesso ad abuso di alcol oppure all’infezione dei virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV) oppure ad alcune rare malattie ereditarie del metabolismo, come l’emocromatosi, la tirosinemia, il deficit di alfa-1 tripsina, l’ipercitrullinemia, la glicogenosi e il morbo di Wilson. I virus predispongono preferenzialmente alla forma intraepatica di CCC
  • esposizione ad agenti fisici e chimici come radon, asbesto, thorotrast, nitrosammine e diossina
  • diabete, obesità, alcool e fumo potrebbero esporre al rischio di CCC, ma i dati a riguardo non sono ancora giunti ad una conclusione definitiva
  • la colangite slerosante primitiva (una malattia nella quale i dotti biliari intraepatici ed extraepatici si restringono ostacolando il deflusso della bile; spesso associata a rettocolite ulcerosa e malattia di Crohn) è il fattore di rischio più studiato.

Sintomi
È ancora spesso sottodiagnosticato, principalmente a causa degli scarsi sintomi iniziali, l’approccio diagnostico è dunque problematico. Oltre un terzo dei pazienti non presenta sintomi di rilievo anche in presenza di masse tra i 5 e 7 centimetri.
Quando è presente qualche sintomo, il più frequente è l’ittero, segno del coinvolgimento delle vie biliari extraepatiche (CCCp e CCCd), mentre è meno frequente nei pazienti con CCCi. Altre presentazioni cliniche comuni in caso di ostruzione biliare sono: le feci poco colorate e cretacee, le urine di colore scuro, il prurito; inoltre, i segni clinici sono l’aumento del volume del fegato, anche sotto forma di massa nella regione addominale superiore destra talora associata a dolore, la perdita di peso e la febbresudorazione notturnadebolezza.

Diagnosi
La diagnosi di CCCi è spesso occasionale. L’ecografia è l’indagine radiologica di prima istanza. Un esame TC pre–operatorio è determinante per la valutazione anatomica, la ricerca di satelliti, l’esecuzione di volumetrie e nella pianificazione dell’approccio chirurgico ed andrebbe sempre effettuato. La RM (Risonanza Magnetica), soprattutto se abbinata a colangiopancreatografia (RM–CP), può studiare l’anatomia biliare intraepatica e localizzare i dotti coinvolti con maggiore accuratezza.
La PET–TC è più utile per identificare i CCCi più grandi, può trovare metastasi occulte a TC e RM nel 20–30% dei pazienti. In caso di dubbi, ci si può affidare a un brushing durante ERCP (colangiopancreatografia endoscopica).
Talvolta il solo imaging radiologico non è sufficiente a raggiungere una diagnosi di certezza ed è necessario ottenere una conferma tramite biopsia (che però non è generalmente indicata quando si è già deciso per l’intervento chirurgico). Tuttavia, una biopsia negativa non necessariamente è informativa, in quanto sono sempre possibili errori di campionamento.
Tra gli esami di laboratorio risulta utile il dosaggio della bilirubina, della fosfatasi alcalina, della glutamiltrasferasi, nonché dei marcatori tumorali CEA e soprattutto CA 19.9, i cui valori sembrano importanti anche per escludere residui di malattia dopo l’intervento chirurgico, per documentare un’iniziale ricomparsa della malattia o per valutare gli effetti delle terapie mediche, in particolar modo della chemioterapia. Quando ALPpre–albumina, CA 19–9 e CEA sono elevati, costituiscono fattori prognostici indipendenti associati ad una peggiore prognosi. La misurazione dei markers non può essere utilizzata come unico test per individuare una patologia neoplastica e si usa solo come indagine accessoria.

Trattamento 
L’opzione chirurgica è, di fatto, l’unico trattamento potenzialmente curativo per il CCC. Tumori multipli hanno un tasso di recidiva molto alto, >90%, e di solito precludono un intervento curativo.

  • Per il CCCi, la resezione del fegato associata all’asportazione dei linfonodi del peduncolo epatoduodenale rappresenta l’intervento standard
  • Per il CCCp senza infiltrazione del tessuto epatico è indicata la resezione biliare semplice con asportazione dei linfonodi regionali ed eventualmente di un lobo (il caudato) del fegato; se presente l’infiltrazione epatica, invece, si rende necessaria la resezione allargata della metà destra o sinistra del fegato
  • Per il CCCd, assimilabile ai tumori della testa pancreatica, l’intervento di scelta è rappresentato dalla duodenocefalopancreasectomia; nel caso in cui il tumore non risultasse resecabile, sono indicati comunque interventi a scopo palliativo.

Il trapianto di fegato rimane una pratica controversa per l’alto tasso di recidiva e le basse chances di sopravvivenza, ed è stato sperimentato in pochi centri al mondo, solo per i CCCi.
Quando il tumore è troppo diffuso e non asportabile chirurgicamente in maniera radicale o quando vi siano metastasi in altri organi si effettua un intervento di tipo palliativo, talvolta eseguito in condizioni di urgenza, la cui la finalità è quella di alleviare i sintomi derivanti dalla presenza della massa tumorale. Tali interventi consistono solitamente in derivazioni biliodigestive e nel posizionamento di endoprotesi per via endoscopica o percutanea.
Qualora si intenda procedere con la chemioterapia è raccomandata una biopsia della lesione, per poter ottenere informazioni circa le caratteristiche del tumore ed avviare così un trattamento più mirato. Non esistono linee guida validate o raccomandazioni definitive circa quale terapia sia migliore rispetto alle altre. La chemioterapia può avere intento neoadiuvante (quando cioè viene somministrata prima dell’intervento chirurgico), adiuvante (se somministrata in seguito ad esso) o palliativo (quando sostituisce l’intervento chirurgico, nei pazienti non passibili di trattamento chirurgico radicale). Recenti studi suggeriscono un possibile beneficio derivante dall’uso di farmaci biologici. Altre terapie mirate, che possono sostituire o integrarsi ad un intervento chirurgico, sono la chemioembolizzazione trans–arteriosa (TACE) e la terapia radiante selettiva con Ittrio–90 (SIRT) e l’infusione intra–arteriosa epatica (HAI). *mettere link*
Il ruolo della radioterapia (che utilizza le radiazioni di raggi X o di altre fonti radianti, per distruggere le cellule tumorali) non è ancora ben stabilito, mancando ancora gli ampi studi capaci di definire se possa essere considerata un trattamento standard. Alcune evidenze sembrano dimostrarne l’utilità in caso di neoplasie inoperabili e sintomatiche (radioterapia esterna + brachiterapia), senza però contribuire a prolungare la sopravvivenza dei pazienti. 

Prognosi
Nel colangiocarcinoma, la prognosi dipende da: 

  • stato dei margini di resezione (migliore quando negativi)
  • interessamento linfonodale
  • variante istologica (migliore per i papillari)
  • grado di differenziazione (migliore per i più differenziati, peggiore per quelli scarsamente differenziati)
  • presenza di metastasi
  • presenza di invasione vascolare

Alcuni studi hanno riportato che il tasso di sopravvivenza a 5 anni è migliore nei pazienti con CCCi (63%) rispetto a quelli con CCCp (30%) o con CCCd (27%). La principale causa di morte dopo resezione è la recidiva di malattia, che occorre in più del 50% dei pazienti ed è intraepatica nel 61% dei casi. Il CCCi presenta alte percentuali di ripresa di malattia post–resezione (46–68%), anche dopo intervento curativo, ed avviene in massima parte entro il primo anno del post–operatorio.